0.1
0.2
0.3
0.4 pastillo (Liber de coquina (A), 1314; Napoli)
0.5
0.6 pastello (dal 1311-1313, Liber mercatorum de Friscobaldis (Tercius), TLIO; Crusca I-V; TB; av. XIV-XV, Trattati dell’Arte del vetro [ed. Bologna, 1864]: "Ogni cosa mescola insieme fortemente con uno bastone: e poi fae uno pastello; fallo con mano perché verrà più duro", GDLI; GRADIT nel significato di 'massa rassodata di varie sostanze (vegetali, animali o minerali) tritate, impastate e fatte rassodare'; Zingarelli 2024); pastègli (dal 1498, Ricettario fiorentino [ed. Firenze, 1567]: "Seccansi i sughi o al sole o al fuoco, tantoché si spessiscano e se ne fa pastègli", GDLI).
0.7 Da pasta (< lat. tardo PASTĔLLUS) (DELIN).
0.8 La voce pastello e le sue varianti sono attestate nel nostro corpus nell'arco di un secolo e mezzo, tra il primo quarto del Trecento e gli anni Sessanta del Cinquecento. Si fa subito presente che la forma pastello attestata tra le pagine della settima edizione napoletana della Cucina teorico-pratica (1852) di Ippolito Cavalcanti non andrà considerata. La stranezza di questa incursione nel corpus presto si spiega con un possibile errore di trascrizione per pestello: nel presentare le caratteristiche della Nuova caffettiera di Harel, Cavalcanti scrive che «il feltro è di stagno forato alla macchina e il caffè vi si preme sopra con un pastello di legno». Il riferimento non è evidentemente alla pietanza, ma allo strumento di legno usato per pressare la polvere di caffè nel filtro dosatore. Tra XV e XVI sec., infatti, pastello inizia a sparire a favore di pasticcio, facendo riferimento alla stessa pietanza. La torta, più antica, potrebbe aver fatto da modello alla preparazione del pastello, che tuttavia si differenzia sia per il caratteristico involucro di pasta, detto cassa, che assume la funzione di un recipiente per cuocere, sia per il tipo di ripieno, che nel caso dei pastelli prevede per lo più pezzi grossi o anche animali interi. L’impasto per la cassa deve risultare spesso e solido e viene solitamente cotto prima di essere riempito con altri alimenti; nei casi in cui la cassa cuoce con il ripieno, sarebbe più opportuno parlare di pasticcio o torta (cfr. Carnevale Schianca 2011: 474-478; Catricalà 1982: 183; Ricotta 2023: 316). Le attestazioni dal corpus hanno però restituito anche una maniera diversa di fare i pastelli, che prevede una pasta molto più sottile che aderisce al ripieno: “fa’ la crosta un pocho più grossa che quella delle lasagne” (Libro de arte coquinaria (Anonimo Catalano), ultimo quarto del XV sec.). Il pastello viene spesso usato come intermezzo spettacolare: infatti, la principale caratteristica è la sorpresa legata al ripieno, come nel caso del pastello volativo - “questo si fa per dare festa ala brigata” (Libro de cosina, inizio XVI sec., Lombardia) - che stupisce i commensali per la presenza al suo interno di uccellini vivi lasciati liberi di volare una volta alzato il coperchio di pasta o uno dei pastelli dei Banchetti (1549) “in cui erano rinchiusi i nomi di tutti i commensali in bolettino. E poscia furono portate per li beneficiati collanine, manilli, habigliamenti da orecchie [...] et così Sua Eccellentia le posse alla ventura.” Stando al Refugio (1520), si tratta di una preparazione poco nutriente: “Desicca el corpo e molto lo sottiglia pastel, che poco è san e men nutrica, e manco fa chi l’usa e spesso piglia”.
0.9 Categorie
0.10.1 pasticcio (s.m.) , timballo (s.m.) ,
0.11 Crusca I-V; DEI 2796; DELIN 1147; GDLI; GRADIT; Nocentini 836; TB; Zingarelli 2024. Carnevale Schianca 2011; Catricalà 1982; Ricotta 2023.
Autore della scheda: Valentina Iosco
Pubblicata il: 31/05/2024
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Doi: 10.35948/ATLITEG/vocabolario/238