0.1
0.2
0.3
0.4 mortarellos (Liber de coquina (A), 1308-1314; Napoli)
0.5
0.6 mortadello (1370 c., Boccaccio, Decameron, TLIO e Crusca I-IV nel sign. 'insaccato di carne mista' e 'spezie di salsicciotto' ); mortadella e mortadello (s.m. e s.f.) (XIV sec., Libro della cocina, TB e Crusca IV); mortadella (XIV sec., Libro della cocina, (tosc.), TLIO e GDLI nel sign. di 'insaccato di carne mista'; Crusca V, nel significato di 'sorta di salume preparato diversamente secondo i tempi e i luoghi; ma oggi s'intende un insaccato di carne più che altro di maiale condita con spezie, finocchio, o altri ingredienti, di forma rotondeggiante e piuttosto voluminoso. E si vende anche cotta. Probabilmente da mortaio, a cagione del pestare'; DM 1; CA 1; CA 2; DISC; GRADIT; Zingarelli 2023).
0.7 Da mortaro 'mortaio' (Valente 1988).
0.8 Gli strumenti etimologici e lessicografici propongono la derivazione di mortadello (da cui poi mortadella) dal latino myrtatum: «der. del lat. murtātu(m), agg. di ‘(salsiccia) condita con il mirto (mūrtu(m))'» (DELIN); «dim. del lat. murtātu(m) ‘condito col mirto’, der. di murtus, var. di myrtus ‘mirto’» (Nocentini); «insaccato condito con mirto”, der. di murtus 'mirto', con -ella femm.» (GRADIT).
In realtà, come si può evincere anche dal confronto tra i testi del corpus e come nota Valente 1988 (ma a questo proposito si veda anche Martellotti 2012: 119), l’antecedente di mortadello è mortarellus (con sostituzione di -r- intervocalica con -d- per dissimilazione), latinizzazione dell’antico francese morterel, dal latino mortarium. Con questo vocabolo, infatti, si indicavano non solo il mortaio ma anche, per metonimia, gli ingredienti in esso pestati.
Questa trafila etimologica pare confermata anche dallo spettro semantico del vocabolo, che risulta tra l’altro parallelo a quello di mortarolo (in cui ancora una volta il significato passa per metonimia dall’utensile a ciò che con esso si produce; vd.). Il significato principale (sign. 1) è quello di ‘insaccato di carne mista battuta e condita con varie spezie ed erbe’, che può essere realizzata in modi differenti. Come spiega Carnevale Schianca (2011: 418-419), le mortadelle, generalmente in forma di polpette più o meno grandi, possono essere realizzate con fegato di maiale lessato e pestato nel mortaio poi suddiviso in bocconi che vengono avvolti in rete di maiale, poi fritti con lo strutto (è il caso ad es. delle «mortadelle boni e perfette» del Libro per cuoco): si tratta, quindi, di tomacelli (vd.). Nella tradizione di Maestro Martino, invece, la mortadella «si distingue dal tomacello per la peculiarità dell’ingrediente principale, che è polpa magra della coscia di vitello […]; se ne fanno bocconi grandi come un uovo che si avvolgono nella rete (di maiale, di castrone o altre) e poi si arrostiscono moderatamente e non troppo a lungo allo spiedo». Nelle Ricette siciliane, il ripieno è invece composto da «lo core et la melza et lo grasso de la panza del porco», mescolati con «una scodella de sangue de porco» e varie spezie: queste mortadelle si mangiano poi bollite, con la minestra. Nei secoli successivi la preparazione si ripete, con qualche variante, e diviene la base di ulteriori ricette: nei Banchetti di Cristoforo Messi Sbugo troviamo ad esempio la mortadella gialla (aromatizzata con lo zafferano) e le sfogliate di persutto o mortadella.
Come si evince dal corpus, a partire dal Seicento la mortadella è legata, con crescente frequenza, alla città di Bologna: la ricetta viene infatti codificata a Bologna, nel 1661, con l'emanazione del Bando e provisione sopra la fabrica delle mortadelle, e salami, in cui si specifica che per la sua realizzazione possono essere adoperate esclusivamente carni di maiale.
Tra Trecento e Quattrocento la forma mortadello assume in Toscana altri due significati: nel Libro de la cocina indica una minestra più o meno densa e cremosa realizzata col battuto di carne (sign. 2; si tratta del tipico mortarolo nel sign. di ‘minestra’); nel ricettario Di buone et delicate vivande, nella ricetta di un «morteruolo buono più agievole» (in questo caso si tratta di un mortarolo nel sign. di 'torta' ; vd.) indica invece una cassa di pasta a forma di piccolo mortaio destinata a contenere gli ingredienti di una torta (cfr. anche Carnevale Schianca 2011: 419) (sign. 3).
Infine, un’ultima e più tarda accezione di mortadella (sign. 4) indica una varietà di lactuca morbida (Cestoni 1843: 121). Secondo il Nuovo vocabolario dialettale napoletano (D'Ascoli 1993: 433) murtatèlla corrisponde all'italiano «lattuga a palla»; è quindi probabile che l'uso estensivo derivi dall’affinità della forma del referente. Il nome dialettale della lattuga è comune almeno alla Campania e all’Abruzzo (cfr. DAM).
Sui significati e l'etimologia di mortadella (e di mortarolo) si veda Murru 2023.
0.9 Categorie
0.10.1 mortarolo (s.m.) ,
0.11 DEI; DELIN; Nocentini; TLIO; TLIO; Crusca I-V; TB; GDLI; CA 1; CA 2; DM 1; SC; GRADIT; Zingarelli 2023; Annali civili del regno delle Due Sicilie 1847; Beccaria-Stella-Vignuzzi 2005: 73-77; Cestoni 1843; Martellotti 2012: 115-120; Murru 2023; Valente 1988.
Autore della scheda: Chiara Murru
Pubblicata il: 31/05/2024
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Doi: 10.35948/ATLITEG/vocabolario/146